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Nel corso degli ultimi anni, alcuni studi nazionali ed internazionali hanno messo in evidenza l’importanza di una corretta tempistica dello svezzamento cioè del passaggio dal latte a cibi semisolidi a base di latte, brodo e omogeneizzati, a quelli solidi fatti di pezzetti di pane, verdure cotte, frutta e tutto il resto. Ciò che preoccupa i ricercatori – esperti dell’Eufic (European Food Information Council), dell’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) e dei Cdc di Atlanta (Centers for Disease Control and Prevention) – è che questo step avvenga o troppo presto o troppo tardi nella vita di un neonato; i rischi riguardano ovviamente il suo corretto sviluppo.

Lo svezzamento dovrebbe iniziare infatti ai 6 mesi del bimbo: anticipandolo si rischia il rifiuto di cibi poco saporiti perché non salati (come il latte), aumentando in tal modo il carico di lavoro sui reni. Uno svezzamento tardivo, invece, potrebbe far registrare grosse carenze nutrizionali: mancanza di ferro, grassi essenziali, zinco, vitamine. Un approccio errato comporta in generale un eccesso di proteine e zuccheri e quindi un forte rischio di obesità se parliamo di svezzamento precoce, e forti carenze nutrizionali per quello tardivo. Cosa bisogna fare allora?

I pediatri e gli esperti dell’OMS suggeriscono di allattare il piccolo con il latte (preferibilmente materno)  fino al sesto mese, di non far bere il latte vaccino prima dei 12 mesi e, comunque, di non iniziare mai lo svezzamento prima del quarto. Il latte copre da solo il fabbisogno proteico richiesto in una percentuale che varia a seconda dell’età del bimbo, del tipo e della quantità di latte. Bisogna semplicemente stare attenti a “quanto” se ne somministra e alla tipologia selezionata: il latte vaccino ad esempio contiene quasi il quadruplo delle proteine rispetto a quello umano e in molti casi, anche fino al secondo anno di età del piccolo, è preferibile scegliere un latte più simile a quello della mamma ed usare poi quello intero, più ricco in grassi, dai due ai tre anni.

Gli zuccheri sono una tentazione sia per i genitori che per i bimbi, ma la scelta più corretta sarebbe quella di evitarli o, per lo meno, di limitarne il consumo. Lo zucchero non è soltanto presente naturalmente in alcuni alimenti (miele, succhi di frutta), ma spesso viene aggiunto nella produzione dei cibi. Questo surplus è dannoso perché produce, sin dalla più tenera età, un effetto di preferenza-assuefazione ai cibi che lo contengono.

Da non sottovalutare poi l’assunzione di grassi; semplificando tutti i processi, l’alto fabbisogno di acidi grassi nei neonati è dovuto alla necessità di sintetizzare le strutture nervose in crescita a cui si aggiunge un aumento dei carboidrati nella loro funzione di carburante per le attività muscolari (richiesta che aumenta quando il bimbo inizia a camminare, correre, etc). Il sale, come gli zuccheri, sarebbe da evitare: aggiungerlo è un errore che a lungo termine favorirebbe la comparsa di ipertensione arteriosa.

Infine, secondo le linee guida del ministero della Salute, anche subito dopo lo svezzamento, è bene continuare ad allattare al seno (ove possibile) sia per il ruolo protettivo del latte materno il quale trasmette anticorpi e sostanze probiotiche utili contro le infezioni gastrointestinali e respiratorie, sia per la riduzione del rischio di cancro al seno e all’ovaio per la madre.