Skip to main content
search
Quando iniziano a parlare i bambini
iMamma - L'app per i genitori
iMamma
L'app per i genitori

Il momento in cui un bambino comincia a parlare è cruciale e genera grande curiosità e aspettativa in mamme e papà. La comunicazione verbale è il risultato di un lungo processo che inizia già durante la gravidanza e progredisce nei primi anni di vita. Capire come avviene tutto ciò e cosa aspettarsi in ogni fase può aiutare i genitori a sostenere il proprio bambino e, se necessario, a individuare eventuali difficoltà.

La premessa è che ciascuno ha i suoi tempi e che fare paragoni (anche tra fratelli) non è mai produttivo, ma anzi può generare ansie e preoccupazioni talvolta inutili. Il linguaggio si sviluppa grazie ad una serie di fattori concatenati tra cui predisposizione genetica, rapporto con gli adulti, capacità innate e così via.

In questo articolo cercheremo di capire – nel modo più esaustivo possibile, per quanto breve – quando iniziano a parlare i bambini, quali sono le tappe principali della loro capacità di comunicare, come stimolarli in maniera efficace e quali sono i campanelli d’allarme cui prestare attenzione.

Lo sviluppo della comunicazione da 0 a 4 mesi

Le basi delle capacità comunicative si creano già durante la gravidanza. Ad un certo punto della gestazione (circa a 16 settimane) l’udito è quasi completamente sviluppato. Pian piano il nascituro impara a riconoscere la voce della mamma e sente i rumori provenienti sia dall’esterno che dall’interno, come il battito cardiaco materno.

Poco dopo la nascita, il bimbo è in grado di distinguere le voci delle persone che si prendono cura di lui e gradualmente comincia a girarsi verso la fonte dei suoni che percepisce, prima con lo sguardo, poi con la testa. Inoltre, è già dotato di un mezzo di comunicazione molto efficace: il pianto, che è diverso a seconda del motivo che lo provoca (fame, sonno, dolore, caldo). Ogni situazione cioè produce un pianto differente.

Progressivamente, intorno a 3-4 mesi, i bambini sorridono quando guardano qualcuno e, allo stesso tempo, scoprono la loro voce. È il periodo in cui cominciano i vocalizzi, ovvero suoni formati esclusivamente da vocali.

Lo sviluppo del linguaggio a 6-7 mesi

Intorno ai 6-7 mesi si verifica una tappa fondamentale dello sviluppo del linguaggio: è la cosiddetta lallazione. Molti pensano che si tratti delle prime parole pronunciate, in particolare “mamma” o “papà”, visto che di frequente le ripetizioni di sillabe sono proprio ma-ma-ma, pa-pa-pa o ba-ba-ba. È ancora troppo presto.

Questa lallazione viene definita “canonica” perché il bambino ripete sempre le stesse consonanti e le stesse vocali, come negli esempi che abbiamo appena fatto. In questo periodo inoltre è attento alla musica e ha imparato a usare i suoni (ad esempio con dei gridolini) per richiamare l’interesse degli altri su di sé.

Questa età è cruciale per l’interazione con i genitori. Rispondere ai suoni del bambino e imitare le sue vocalizzazioni aiuta a rafforzare il legame e stimola ulteriormente lo sviluppo linguistico.

Lo sviluppo del linguaggio a 9-12 mesi

Verso i 9 mesi di vita, la lallazione diventa variata ed è caratterizzata da sillabe con consonanti e vocali diverse (po-ti-po-ti). Ora il bambino “chiacchiera” moltissimo, dovrebbe capire tanti termini (fino ad un centinaio), anche se ancora non li sa pronunciare. Inizia però il cosiddetto “pointing”, cioè l’abitudine di indicare con il dito le cose che gli interessano o che gli vengono nominate da un adulto.

Per alcuni bambini il primo compleanno coincide con le prime parole, anche se – come per tutto quello che concerne la crescita – non ci sono regole fisse valide per tutti. A questa età comunque il bambino dovrebbe saper rispondere al proprio nome, tendere le braccia per essere preso, imitare i vari livelli di intonazione utilizzati dai suoi genitori.

Lo sviluppo del linguaggio a 12-16 mesi

Tra 12 e 16 mesi – sottolinea l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù – i bambini sono molto bravi a comunicare con i gesti: in pratica si fanno capire per qualsiasi esigenza. Il numero di parole conosciute e utilizzate aumenta man mano che crescono, con le ovvie differenze da soggetto a soggetto. Questa è la fase del lessico emergente, che precede quella più “esplosiva” del loro vocabolario.

Per favorire questa evoluzione, i genitori dovrebbero trascorrere molto tempo con i loro figli, promuovendo una serie di attività costruttive, come la lettura o il gioco. L’apprendimento del linguaggio passa anche dall’imitazione. Ecco perché si deve parlare tantissimo con loro, utilizzando parole precise ed evitando il “baby talk”, cioè quel particolare modo di rivolgersi a un neonato o a un bambino piccolo, fatto di termini a volte inventati (il gatto è il gatto, non è “miao”) e di “vocine” strane.

Come comunicano i bambini a 18 mesi

A 18 mesi, la maggior parte dei bimbi è in grado di pronunciare almeno 10 parole, anche se non sempre in modo chiaro. Alcuni possono avere un vocabolario più vasto, mentre altri potrebbero essere ancora in una fase di sviluppo più lenta. In generale, è un periodo in cui si assiste a un rapido progresso delle competenze linguistiche.

Secondo l’American Speech-Language-Hearing Association (ASHA), a questa età i bambini dovrebbero essere capaci di seguire semplici indicazioni come “dammi la palla” o “fammi vedere il giocattolo”, dimostrando una comprensione basilare del linguaggio.

Come comunicano i bambini a 2 anni

Tra 18 e 24 mesi in genere si nota un’esplosione del vocabolario. A 2 anni, i bambini iniziano a combinare due parole per formare semplici proposizioni, come “voglio latte” o “no nanna”. Secondo l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, l’85% dei bambini produce frasi entro i 24 mesi, il 98% entro i 30 mesi.   

Il lessico cresce rapidamente e possono usare fino a 50 parole o più. Questo è anche lo stadio in cui i bambini sviluppano una comprensione più approfondita del linguaggio, rispondendo a domande facili e seguendo istruzioni più complesse. La pronuncia potrebbe non essere ancora del tutto comprensibile: migliorerà.

La comunicazione dopo i 2 anni

Dopo i 2 anni d’età le capacità di comunicazione si evolvono e si affinano ogni giorno di più, anche grazie agli stimoli che arrivano dall’esterno. Per esempio, a questa età molti bimbi frequentano l’asilo nido e la scuola è davvero la svolta. Le frasi diventano via via più complesse e cresce la quantità di parole conosciute, così come migliora il modo in cui vengono pronunciate.

A 3 anni e mezzo le frasi sono praticamente complete e il modo di esprimersi si perfeziona, diventando sempre più chiaro ed esplicito. A 4 anni e mezzo un bambino dovrebbe aver acquisito le competenze linguistiche di base.

A che età i bambini dicono mamma

Quando iniziano a parlare i bambini? Come abbiamo già avuto modo di dire, c’è una grande variabilità in tal senso. In linea di massima, è normale che un bambino parli tra 10 e 18 mesi. I tempi però sono soggettivi. I genitori non vedono l’ora che questo obiettivo venga raggiunto, con tanto di “scommesse” su quale sarà la prima parola. Generalizzando, potremmo dire che i bambini dicono “mamma” intorno all’anno di età, con differenze individuali.

Ma chi è più precoce tra maschi e femmine? Uno studio dell’Università americana di Memphis sostiene che, nell’arco del primo anno, i maschietti “parlano” (più che altro nel senso di vocalizzazioni e lallazione) di più e prima rispetto alle femminucce. Nel secondo anno di vita però la situazione si ribalta.

Quando ci si deve preoccupare se il bambino non parla?

Abbiamo visto che ogni bambino raggiunge i suoi traguardi di sviluppo in tempi molto personali. Ad un certo punto però tutti dovrebbero lanciarsi nel meraviglioso mondo delle parole. Quando occorre preoccuparsi? Un ritardo nel linguaggio potrebbe dipendere da varie cause: sordità, sindrome dello spettro autistico, deficit nello sviluppo, problemi genetici. Non ci si deve allarmare subito, ma monitorare l’andamento.

È opportuno rivolgersi al pediatra se:

  • a 10 mesi non è comparsa lallazione;
  • il bimbo non si gira quando viene chiamato o non reagisce a sollecitazioni sonore forti;
  • non fa gesti per comunicare a 12-14 mesi;
  • sembra “per conto suo”, non sorride o non mantiene il contatto visivo;
  • a 18 mesi non capisce richieste semplici;
  • a 30 mesi non mette insieme due parole in una frase;
  • pare far fatica a muovere i muscoli della bocca o la lingua (ad esempio durante lo svezzamento);
  •  comunica solo piangendo e non con altri mezzi;
  • a 3 anni ha un linguaggio poco comprensibile.

Se lo riterrà opportuno, il pediatra indicherà lo specialista a cui rivolgersi per approfondire (neuropsichiatra infantile, logopedista, otorinolaringoiatra etc.).

Come fare per stimolare un bambino a parlare?

Ci sono tanti escamotage che si possono attuare per stimolare un bambino a parlare:

  • leggere libri: la lettura è uno strumento potentissimo perché grazie all’ascolto si sollecita la fantasia e si arricchisce il patrimonio lessicale.
  • Correggere la pronuncia (ma senza insistere troppo): “appa” è sbagliato, “acqua” è giusto.
  • Giocare.
  • Aggiungere sempre qualche parola alle sue frasi: se vi dice “mamma, gatto!”, rispondete con “sì, amore, è un gatto bianco e bello”.
  • Evitare l’uso eccessivo di schermi: l’interazione faccia a faccia è essenziale per lo sviluppo del linguaggio. Questo è uno dei motivi per cui la Società Italiana di Pediatria raccomanda di non utilizzare dispositivi tecnologici fino a 2 anni, compresa la tv.
  • Cantare canzoncine: le filastrocche e le canzoni aiutano il bambino a sviluppare una comprensione del ritmo e della melodia del linguaggio.
  • Ridurre uso del ciuccio: la bocca “occupata” fa parlare poco e male.
  • Dare sempre un nome alle cose e descrivere ciò che si sta facendo.

Fonti

  • Ospedale Pediatrico Bambino Gesù
  • Società Italiana di Pediatria

Le informazioni pubblicate in questo articolo non si sostituiscono al parere del medico. Ti invitiamo a consultarlo in caso di dubbi o necessità.