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Con la collaborazione scientifica del dott. Antonio Maiorana, direttore U.O. Ostetricia e Ginecologia presso Arnas Civico Palermo.
Quando si pensa al parto, inevitabilmente la mente di ogni donna corre non solo alla gioia di una nuova vita, ma anche al dolore che si prova. Sfortunatamente è un fatto ineluttabile, ma che ha alla base una fondamentale funzione biologica. La sensazione dolorosa scatenata dalle contrazioni segnala l’inizio del travaglio attivo, cioè di quella fase – di lunghezza variabile – che si conclude con la nascita del bambino. Si tratta però di un dolore acuto, intenso, che può provocare reazioni emozionali forti come ansia e stress, e vari sintomi (detti vegetativi) che possono essere fastidiosi, come nausea, vomito, brividi, sudorazione.
L’Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani (Aogoi) sottolinea che il dolore del parto ha tre caratteristiche ben precise: insorge in una persona perfettamente sana; è limitato nel tempo; è immediatamente seguito dalla gratificazione della nascita. Nonostante l’ultimo aspetto sia molto positivo e capace di dare la giusta carica e motivazione a chi deve partorire, mitigare per quanto possibile il dolore è estremamente importante.
Rispetto a qualche anno fa, oggi esistono numerosi modi per tenere sotto controllo i dolori del parto, più o meno dolci e più o meno naturali. Si va dalle tecniche di respirazione al gas esilarante, dall’ipnosi all’agopuntura fino al parto in acqua. Uno dei più efficaci, riconosciuto dalla letteratura scientifica, è l’anestesia epidurale (o peridurale), un metodo che permette di partorire più serenamente. La percentuale di successo è infatti molto elevata: è in grado di dare sollievo in oltre il 90 per cento dei casi.
Vediamo cos’è e come funziona.
Cos’è l’anestesia epidurale
I tentativi di ridurre il dolore delle contrazioni risalgono all’antichità: nel corso della storia sono state provate sostanze diverse, dagli oppiacei in Cina alle bevande a base di mandragora, cicuta, papavero e canapa in Europa. A metà dell’800 nasce la moderna anestesia in ostetricia. Dagli anni ’60 del ‘900 si è assistito ad una rapida evoluzione sia dal punto di vista tecnico che da quello farmacologico, arrivando pian piano agli attuali standard di sicurezza ed efficacia. In Italia, i primi centri ad applicare la partoanalgesia sono stati a Torino e a Milano.
L’epidurale è una tecnica di analgesia finalizzata alla riduzione del dolore che una partoriente sente durante il travaglio e il parto. In particolare, attraverso la somministrazione di alcuni farmaci dalla zona lombare, vengono “addormentati” i nervi che trasportano al cervello gli stimoli dolorosi che partono dall’utero, dalla cervice uterina e dalla vagina. In altre parole, diminuisce la sensibilità al dolore. Si può fare l’epidurale per il parto naturale e per il parto cesareo, oltre che per altri tipi di interventi chirurgici (ad esempio, di ortopedia).
Piccola nota a margine. Talvolta per il cesareo viene preferita l’anestesia spinale che risulta più profonda, rispetto all’epidurale. L’anestetico infatti viene iniettato all’interno dello spazio subaracnoideo, che si trova più in fondo dello spazio epidurale. Altre volte invece si esegue un’anestesia combinata spino-peridurale che associa gli effetti benefici di entrambe le metodiche.
L’anestesia epidurale può essere effettuata solo da un anestesista. La gestante viene fatta sedere con la schiena incurvata in avanti oppure sta distesa su un fianco con le ginocchia flesse. È molto importante che le spalle e la spina dorsale siano rilassate in modo da aprire meglio lo spazio tra le vertebre. In genere, in via precauzionale, contemporaneamente si prende un accesso venoso periferico nel caso in cui ad esempio sia necessario attaccare una flebo con liquidi oppure con l’ossitocina.
La zona dell’iniezione viene disinfettata e anestetizzata localmente. L’ago per l’epidurale viene inserito nel cosiddetto spazio epidurale, dove si trovano i nervi che fuoriescono dal midollo spinale. Lo spazio epidurale si trova nella colonna vertebrale ed è un’area delimitata dal legamento giallo e dalla membrana meningea.
L’ago viene introdotto tra la seconda e la terza vertebra lombare oppure tra la terza e la quarta. Attraverso l’ago, viene inserito un sottile catetere dal diametro ridottissimo. A questo punto l’ago viene sfilato e il catetere epidurale fissato con dei cerotti sulla cute. I farmaci, anestetici e/o oppiacei, si somministrano attraverso il piccolo catetere direttamente nello spazio peridurale del tratto lombare, in prossimità delle radici nervose deputate al trasporto del dolore.
Ciò consente di mantenere e prolungare l’effetto dell’analgesia per tutto il travaglio, senza dover utilizzare altri aghi. Il catetere rimane inserito fin dopo il parto. La somministrazione avviene manualmente oppure attraverso una pompa automatica.
L’epidurale fa male?
L’epidurale per il parto non è dolorosa. Sulla parte dove viene inserito l’ago infatti viene eseguita un’anestesia locale preliminare, sia sulla pelle che nello strato sottocutaneo. La futura mamma potrebbe però percepire un po’ di fastidio a causa del posizionamento dell’ago e dell’introduzione del catetere. La soglia del dolore però è molto soggettiva e ciascun individuo reagisce in maniera diversa. Ovviamente in ospedale viene fatto di tutto per garantire il massimo comfort. Anche la rimozione del catetere epidurale dopo il parto non è dolorosa.
Seppure sicura, l’epidurale può comportare qualche effetto collaterale. Eccone alcuni:
- Aspirazione di sangue: è l’inconveniente che si registra più frequentemente quando si esegue un’epidurale.
- Parestesie: sono un’alterata percezione della sensibilità.
- Difficoltà del catetere di avanzare nello spazio peridurale.
- Passaggio in circolo dell’anestetico locale: causa alcuni disturbi, come ad esempio senso di “ebbrezza”, vertigini, visione doppia.
- Brivido: capita spesso alle donne in travaglio e quasi sempre dopo aver partorito.
- Effetto dei farmaci su un solo lato dell’addome: è il cosiddetto “blocco lateralizzato”, provocato nella maggior parte dei casi da una posizione scorretta del catetere.
- Blocco segmentario: presenza nell’addome di aree sensibili dopo l’inoculazione dell’anestetico.
A quanti centimetri si fa l’epidurale
Quando si fa l’epidurale? In linea di massima, non c’è un momento preciso in cui fare l’anestesia epidurale: si può richiedere quando si desidera e soprattutto quando se ne sente il bisogno, indipendentemente dai centimetri di dilatazione della cervice uterina. In genere, si tende ad aspettare che il travaglio sia avviato, con contrazioni regolari e piuttosto ravvicinate.
In casi particolari si può fare prima, anche se va ricordato che la fase prodromica (quella che di fatto prepara il corpo al parto, ma che non è ancora vero e proprio travaglio) può durare anche parecchie ore (se non giorni, in alcuni casi). Fare così presto l’anestesia epidurale significherebbe medicalizzare a lungo il parto. Non solo. Con l’epidurale è opportuno monitorare spesso mamma e bambino, cosa che costringe a stare sul lettino invece di potersi muovere liberamente.
Al contrario invece se il travaglio è troppo avanzato, ostetrica e ginecologo potrebbero non ritenerla utile perché il parto è ormai imminente. Quindi ci sono da valutare pro e contro di ciascuna situazione.
I farmaci che vengono utilizzati fanno effetto dopo una ventina di minuti. All’inizio le gambe possono sembrare più pesanti e deboli, ma è una sensazione che passa piuttosto rapidamente, consentendo alla partoriente di muoversi (compatibilmente con eventuali controlli medici). La tecnica peridurale per il parto indolore non provoca blocco motorio ed evita pertanto alla madre la sensazione di gambe “addormentate”.
Le contrazioni si percepiscono in maniera più attutita, ma si sentono. La gestante quindi continua a collaborare attivamente alla nascita. L’effetto dell’anestesia epidurale è duraturo, ma qualora dovesse scemare e il dolore dovesse essere nuovamente forte è possibile integrare la dose dei farmaci. Generalmente, questi vengono somministrati a intervalli, in modo da garantire la migliore analgesia possibile.
Questo però non significa che l’epidurale rallenti il parto: non ci sono evidenze che sia effettivamente così. Potrebbe solo allungarsi un po’ la fase espulsiva (circa 20 minuti in più). Questo avviene perché il premito, cioè lo stimolo a spingere per far uscire il bambino, potrebbe essere percepito come meno impellente.
A differenza di quello che a volte viene detto, l’epidurale si può fare anche in caso di parto indotto. Anzi, è consigliabile, se si considera che spesso le contrazioni provocate dall’induzione sono più forti di quelle di un parto che si avvia spontaneamente.
Il catetere viene tolto un paio d’ore dopo il parto se è stato naturale, mentre in caso di cesareo potrebbe essere lasciato più a lungo per la somministrazione di analgesici, utili per contenere i dolori postoperatori.
Visita anestesiologica per epidurale
Chi pensa di voler ricorrere alla partoanalgesia, qualche tempo prima del parto deve sottoporsi ad un’accurata visita con l’anestesista. Durante il colloquio, il medico spiegherà per filo e per segno come funziona questo tipo di trattamento, come si esegue, quali possono essere le possibili complicanze o i rischi. Sono tutte cose che si ritrovano nel consenso informato che andrà firmato prima dell’esecuzione della procedura. Inoltre, saranno fatte alcune domande, ad esempio se si soffre di eventuali allergie a farmaci.
Solitamente, la visita anestesiologica si fa alla fine della gestazione, all’incirca tra 35 e 37 settimane. Occorre presentare la documentazione medica di tutta la gravidanza, gli esami del terzo trimestre e qualche test in più, che di solito non viene richiesto, ad esempio il conteggio delle piastrine e gli indici di coagulazione.
Dopo la visita, se si è compilato un piano del parto, si può inserire tra i “desiderata” anche quello di sottoporsi all’epidurale per il parto.
I rischi dell’anestesia epidurale: perché non fare l’epidurale
Come altre procedure mediche, l’epidurale può avere delle controindicazioni. Alcune sono assolute, altre relative. Andranno quindi sempre valutate dal proprio ginecologo o dall’anestesista durante la visita preliminare. Vediamone alcune:
- infezione in corso con febbre;
- infezioni nei pressi del punto in cui inserire l’ago;
- sepsi materna;
- emorragia materna;
- assunzione di farmaci anticoagulanti o antiaggreganti;
- alterazioni della coagulazione;
- gravi patologie neurologiche;
- sfavorevole conformazione della schiena che rende impossibile la collocazione del catetere (ad esempio una grave scoliosi);
- obesità;
- riduzione del volume di sangue circolante.
In questi casi potrebbe essere consigliato un parto senza epidurale e saranno suggeriti metodi alternativi su come non provare dolore durante il parto.
Seppur non frequenti, l’epidurale non è esente da complicanze. Le complicanze dell’epidurale sono a carico del sistema nervoso centrale, del sistema nervoso periferico o di altri organi e apparati. I rischi sono comunque molto bassi e i danni gravi e permanenti sono rarissimi.
Tra le complicanze dell’epidurale potrebbero verificarsi:
- abbassamento della pressione arteriosa;
- effetto anestetico disomogeneo o analgesia inadeguata;
- prurito cutaneo;
- perdita di sensibilità della vescica;
- mal di testa (a volte è provocato dalla perforazione accidentale della dura madre);
- infezioni;
- danno transitorio ai nervi;
- danno permanente ai nervi (rientra tra gli occasionali effetti collaterali a lungo termine dell’epidurale);
- formicolii e tremori alle gambe;
- dolore o sciatalgia;
- allergie o reazioni ai farmaci;
- febbre;
- ascesso epidurale;
- meningite;
- cefalea protratta.
L’anestesia epidurale è innocua per il feto e, inoltre, non interferisce con l’allattamento.
La revisione Cochrane Epidurals for pain relief in labour del 2018 ha preso in esame circa 40 studi condotti su questo tema su un campione di 11.000 soggetti. Gli autori sono giunti alla conclusione che l’anestesia epidurale è più efficace nel ridurre il dolore del parto e soddisfa maggiormente le donne, rispetto ad altre tecniche. Fino al 2005, in chi ha ricevuto l’epidurale, si è assistito ad un aumento del numero di parti vaginali assistiti (sono quelli che, ad esempio, prevedono l’uso della ventosa). Dopo il 2005 però questo trend non si è più verificato, probabilmente per il miglioramento delle procedure.
Dalla meta analisi è inoltre emerso che l’epidurale non ha un impatto sul rischio di parto cesareo o sul mal di schiena a lungo termine. In più, non pare avere un effetto immediato sullo stato di salute del neonato secondo l’indice Apgar né sugli ingressi in terapia intensiva neonatale.
L’anestesia epidurale si paga?
Da qualche anno l’epidurale rientra nei Livelli essenziali di assistenza, i cosiddetti Lea: significa che, nei punti nascita in cui si registrano almeno 1.000 parti all’anno, non la pagano le utenti, ma è a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Rispetto a qualche tempo fa, adesso le strutture che la offrono sono aumentate, anche se ancora un po’ a macchia di leopardo sul territorio nazionale, mentre in altri Paesi – soprattutto anglosassoni – è diffusa in maniera molto più capillare che in Italia. Spesso il problema è riuscire a garantire la presenza dell’anestesista 24 ore al giorno 7 giorni su 7, a causa dei problemi di carenza di personale.
In alcuni ospedali o cliniche è possibile ricorrere a questo tipo di analgesia pagando gli anestesisti, alla stregua di una prestazione privata. Questa scelta permette di essere sicuri di poter ottenere questa prestazione durante il parto (viceversa può succedere che, se l’anestesista è impegnato ad esempio con un’urgenza, non si possa effettuare l’anestesia). In questo caso quindi l’epidurale ha un costo, variabile da specialista a specialista. Sicuramente ci vogliono diverse centinaia di euro.
Fonti
Ministero della Salute
Istituto Superiore di Sanità
Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani (Aogoi)
Cochrane Epidurals for pain relief in labour
Le informazioni pubblicate in questo articolo non si sostituiscono al parere del medico. Ti invitiamo a consultarlo in caso di dubbi o necessità.