Lo abbiamo già scritto e lo ribadiamo: sentire un bambino piangere è una cosa che destabilizza anche le mamme e i papà dotati del migliore autocontrollo. E che scatena una serie di emozioni non particolarmente positive: ansia, paura, tristezza, senso di impotenza, talvolta persino esasperazione e rabbia. Eppure è l’unico modo che i piccini conoscono per esprimere quello che provano. Da qui l’importanza di imparare a rispondere al pianto del neonato. Perché si può fare.
Probabilmente avrete sentito parlare di alcune teorie secondo le quali un bambino va lasciato piangere, ad esempio quando deve addormentarsi. L’idea è che prima o poi smetterà. Anche se magari nel frattempo è diventato paonazzo per lo sforzo e fa fatica a respirare, prima o poi smetterà. E questo è anche vero. Il problema però è che in questo caso nessuno è stato capace di rispondere al pianto del neonato in modo efficace.
Il fatto che non pianga più non è una vittoria in senso allargato: lo è solo sul momento perché voi siete riusciti a raggiungere il vostro obiettivo, ma non vostro figlio. Ha capito che piangere è inutile perché la sua richiesta di aiuto non sarà ascoltata. Col passare dei mesi, la sua capacità di comunicare farà passi in avanti strepitosi, ma la necessità di rispondere al pianto del neonato rimane.
Cosa possono fare dunque mamme e papà?
Quando un bambino piange lo fa per un’esigenza ben precisa. Soprattutto se piccolissimo, non è mai per un capriccio. Per questo quando un piccolo chiama, ci deve essere una risposta. Piangendo segnala di avere un bisogno, fisico o emotivo. Può avere necessità di rassicurazione, forse perché si è improvvisamente accorto di essere solo: mica facile da affrontare per un cucciolo che fino a poco tempo prima se ne stava al caldo della pancia della mamma ed era sempre con lei! Un neonato non è abituato alla solitudine e per lui è inconcepibile stare lontano da sua madre.
La reazione dunque è una sola: rispondere al pianto del neonato nel più breve tempo possibile.
Se il motivo delle lacrime è la fame o la sete, basterà attaccarlo al seno per soddisfare il suo bisogno (ovviamente vale per il biberon nel caso in cui non state allattando). Se il problema è l’assenza della mamma, tra le sue braccia troverà conforto e tranquillità. Potete abbracciarlo, cullarlo, parlargli dolcemente all’orecchio o cantargli qualcosa. Nella maggior parte dei casi, il contatto fisico è la soluzione.
Se il disagio è di natura fisica, ad esempio le coliche gassose, anche in questo caso potete tenerlo in braccio, massaggiandogli il pancino o ponendolo sull’avanbraccio a pancia in giù. Provate a camminare lentamente per casa quando lo fate: potrebbe essere un buon aiuto.
Piano piano, giorno dopo giorno, ogni genitore impara qualcosa sul proprio bambino e pure sui suoi modi di piangere. Troverà quindi come rispondere al pianto del neonato e non è detto che ci siano regole che valgono per tutti: ogni bimbo è un microcosmo del tutto unico e speciale.
Una cosa è importante evidenziare però: non temete di dare “vizi” a vostro figlio. Non ascoltate chi vi dice che se lo prendete in braccio ogni volta che piange poi non ve lo “spiccicherete” più di dosso. Tenerlo stretto a voi non è un capriccio e non è affatto vero che poi sarà difficile farlo smettere (ma poi perché mai si dovrebbe smettere di tenere a sé i propri figli?). I neonati non conoscono “vizi”, ma hanno solo bisogni che non possono gestire da soli.
Soddisfare questi bisogni è l’unica via per aiutare il bambino ad avere fiducia nel mondo che lo circonda. Sapere che al suo richiamo seguirà sempre una risposta da parte vostra lo renderà sicuro, sicuro del vostro amore e, nel tempo, sicuro di sé. Ascoltandolo e facendolo sentire accolto, mamma e papà diventeranno un porto sicuro da cui partire per muovere i primi passi da solo e dove tornare ogni volta che si desiderano calore e rassicurazione.