Un aborto spontaneo è un’esperienza che nessuna donna vorrebbe mai vivere. Eppure, non è un fatto molto raro: sono in tante, tantissime a provare il dolore di una gravidanza che non va a buon fine. Il problema è che ancora in troppe non ne parlano, si chiudono nel silenzio e si fanno sopraffare da una specie di vergogna che, in realtà, non ha motivo di esistere. Noi al contrario abbiamo deciso di rompere il muro di tabù che sta attorno all’espressione “aborto spontaneo”, di stracciare il velo di paura e angoscia che avvolge tante mamme. E affrontiamo l’argomento a carte scoperte, nudo e crudo, parlandone prima con un ginecologo, Antonio Cannizzaro, dirigente medico dell’ospedale Buccheri La Ferla di Palermo, e poi con una psicologa e psicoterapeuta, Loredana Messina. Insieme hanno messo in piedi l’associazione “Georgia” che, tra i suoi obiettivi, ha anche il sostegno delle coppie che vivono sulla loro pelle questa difficilissima prova di vita.
Antonio Cannizzaro-Loredana Messina
Quali possono essere le cause di un aborto spontaneo?
“Per aborto spontaneo si intende l'interruzione di una gravidanza, che si verifica per cause indipendenti dalla volontà della donna, prima della 24esima settimana. Non è un fenomeno così raro: infatti si stima che circa il 10-20 per cento delle gravidanze esiti in un aborto spontaneo. Ma in realtà il numero è probabilmente molto più alto, se si considera che molti aborti avvengono quando una donna non sa nemmeno di essere incinta.
Gli aborti spontanei si verificano in alcuni casi perché il feto non si sviluppa normalmente. Le anomalie relative a geni o cromosomi del feto sono in genere casuali e non riferite a problemi ereditati dai genitori. Esempi di anomalie sono:
• Uovo vuoto. Gravidanza anembrionica, cioè quando avviene l'impianto dell'ovulo fecondato, tuttavia il feto non si sviluppa e non cresce.
• Morte fetale intrauterina. In questa situazione l'embrione/feto è presente, ma il suo sviluppo si interrompe. La morte del feto normalmente si verifica prima dell'insorgenza dei sintomi dell'interruzione della gravidanza.
• Gravidanza molare. Una gravidanza molare si verifica per un errore genetico al momento del concepimento. Le cellule della placenta (trofoblastiche) sviluppano una massa di cellule anomale (mola) che causa la perdita della gravidanza. Si tratta comunque di una circostanza rara.
In molti altri casi, l'aborto spontaneo può essere dovuto a condizioni di salute della madre come ad esempio malattie della tiroide, diabete, patologie legate alla coagulazione del sangue (trombofilia), problemi ormonali, infezioni, problemi anatomici dell'utero o alla cervice”.
Stile di vita ed età della mamma possono incidere?
“Vari fattori aumentano il rischio di aborto spontaneo e fra questi sicuramente l’età. Le donne di età superiore a 35 anni hanno un rischio maggiore di aborto spontaneo rispetto alle donne più giovani. A 35 anni, il rischio è intorno al 20%. A 40 anni, il rischio si alza fino ad arrivare a circa il 40%, a 45 anni è di circa 80%. Tuttavia anche l’età paterna potrebbe svolgere un ruolo. Alcuni studi suggeriscono che le donne che avviano una gravidanza con uomini di età maggiore possono essere a più alto rischio di un aborto spontaneo. Inoltre, la donna che fuma in gravidanza rischia di più di quella che non fuma così come il consumo di alcol o di droghe aumenta il rischio di aborto spontaneo. Infine, la condizione di sottopeso e sovrappeso è stata correlata ad un aumentato rischio di aborto spontaneo”.
Quali possono essere i segnali che qualcosa non va? Ci sono sempre?
“I sintomi possono essere: dolore o crampi addominali o mal di schiena, perdite liquide o di tessuto dalla vagina (muco di colore bianco-rosa, coaguli), macchie o perdite di sangue vaginale più abbondanti (perdite marroni o rosso vivo), contrazioni dolorose ad intervalli.
È importante sottolineare che in caso di perdite vaginali o sanguinamento nel primo trimestre, la maggioranza delle gravidanze prosegue con successo.
Il medico può fare una serie di test: visita ginecologica per verificare un'eventuale dilatazione del collo dell’utero; ecografia per controllare tutta una serie di indicatori di benessere o di patologia; esami del sangue: può essere utile misurare l'ormone della gravidanza (beta HCG)”.
Come si interviene?
“In caso di aborto spontaneo le scelte disponibili sono le seguenti:
• Attendere. Se non ci sono infezioni si può attendere che l'espulsione avvenga naturalmente. Circostanza che si verifica normalmente entro le due settimane successive alla morte dell'embrione. Tuttavia non è raro che occorra aspettare anche fino quattro settimane, un tempo emotivamente difficile per la donna. Se l'espulsione non si verifica da sola, si può ricorrere ad un trattamento farmacologico o chirurgico.
• Trattamento farmacologico. Dopo la diagnosi certa di perdita della gravidanza, se la donna non vuole attendere e sceglie di accelerare l'espulsione del materiale abortivo, il medico può utilizzare un farmaco che attivi il processo espulsivo. Il medicinale può essere assunto per via orale, ma il medico potrebbe consigliare l'assunzione di una farmaco per via vaginale in modo da aumentarne l'efficacia riducendo al minimo gli effetti collaterali come nausea e diarrea. Nel 70-90 per cento dei casi il farmaco produce i suoi effetti entro le 24 ore.
• Trattamento chirurgico - raschiamento. Si tratta di un piccolo intervento chirurgico chiamato ‘dilatazione aspirazione e revisione’ della cavità uterina. Nel corso di questa procedura, il medico dilata la cervice e rimuove il tessuto dalla parte interna dell'utero. Le complicanze sono rare, ma potrebbero includere danni al tessuto connettivo della cervice o della parete uterina. Il trattamento chirurgico è necessario nel caso di un aborto spontaneo accompagnato da forti emorragie o sintomi di un’infezione".
In caso di aborti spontanei ricorrenti c'è qualcosa che si può fare per prevenirli? Ci sono indagini diagnostiche particolari?
“Non ci sono problemi ad avere una gravidanza dopo un aborto spontaneo, è possibile rimanere incinta anche durante il ciclo mestruale successivo. Tuttavia, prima di tentare una nuova gravidanza, assicuratevi di essere nelle condizioni fisiche ed emotive adeguate (molto spesso una donna avverte un senso di colpa per un aborto spontaneo). È importante ricordare che l'aborto spontaneo è di solito un evento straordinario, la maggioranza delle donne che hanno vissuto questa esperienza, infatti, porta avanti con successo la gravidanza successiva. Solo il 5% delle donne hanno avuto due aborti spontanei consecutivi, e solo l'1% ne ha avuti tre. Se la donna ha avuto più di tre aborti spontanei, bisogna indagare sulle cause. Il medico ha a disposizione molti test e strumenti per verificare anomalie uterine, problemi di coagulazione, anomalie cromosomiche e tutti i fattori di rischio, apportando le opportune correzioni farmacologiche o interventistiche. Tuttavia, se il motivo non viene individuato non significa che la donna debba rinunciare a tentare una gravidanza. Infatti, il 60-70 per cento delle donne con aborti ripetuti per cause non identificate, poi porta avanti una gravidanza con successo”.
Passiamo all'aspetto psicologico: quali sono i sentimenti che scatena un aborto spontaneo?
“Io dico sempre che una donna diventa mamma quando vede per la prima volta la linea rosa del test di gravidanza. Da quel momento la futura mamma inizia a immaginare come sarà il suo bambino, se sarà maschio o femmina, come sarà il primo incontro, cosa farà quando piangerà, quanto si divertiranno quando andranno al parco insieme. La mamma inizia a viverlo mentalmente prima che fisicamente. Questo processo mentale fa sì che si attivino pensieri di protezione nei confronti del bambino che lentamente si sviluppa nel suo ventre. Tuttavia, la nostra condizione umana ci impone un limite nella gestione di tutto, anche della gravidanza. Quando si verifica un aborto spontaneo il senso di colpa e l’impotenza sono solo alcuni dei sentimenti che si attivano, soprattutto nella mamma, e molto spesso il contesto (famiglie d’origine, amici ecc), senza volerlo, incrementa tali sentimenti e relativi pensieri sottostanti, colpevolizzando, facendo domande del tipo: “ma hai fatto qualche brutto movimento?”, “hai alzato pesi?”, “ti sei spaventata?”. Da un eccesso all’altro, può anche capitare di sentirsi sminuire il dolore dato dalla perdita con frasi del tipo “andrà meglio la prossima volta” o ancora “fatene subito un altro così non ci pensate più”. Anche la reazione del sistema medico produce degli effetti, infatti, vivendo l’evento aborto come qualcosa di biologico, naturale e ordinario, sminuisce senza volerlo il vissuto dei genitori considerando molte informazioni scontate e, per tale motivo molto spesso, non dà indicazioni utili relative al dopo e sul cosa fare. Molti genitori allora si chiedono: Cosa fare? Quali procedure seguire? Cosa posso o non posso fare? Chi può darmi informazioni utili rispetto al perché è successo?Chi posso contattare? Tutto questo porta le mamme e i papà che stanno vivendo l’evento a chiudersi sempre più in una bolla di silenzio e ritiro, isolandosi in un dolore che spesso non trova ascolto e che viene sminuito dal contesto sociale perché non compreso o perché, semplicemente, diventa intollerabile da sostenere e contenere. Sicuramente il senso di colpa che si attiva è un sentimento che parla della voglia di totale gestione che ognuno di noi ha, ma sfortunatamente ripeto che la condizione umana non permette di avere tutto sotto controllo e l’aborto spontaneo è uno di quegli eventi che inevitabilmente mettono le mamme e i papà davanti all’impotenza di tale condizione. Il senso di colpa non avrebbe ragione di esistere, ma per una mamma è difficile passare da un pensiero di vita legato alla nascita del suo bambino ad un pensiero di morte molto spesso senza una comprensibile ragione e questo inevitabilmente genera quel tipo di sentimento. In fondo se ci fermiamo un attimo a riflettere ci accorgeremo che quando nella vita succede un imprevisto la prima cosa che facciamo è cercare un colpevole. In una situazione di aborto spontaneo molto spesso non c’è un colpevole o una causa a cui possiamo “aggrapparci” e quindi iniziamo ad autodirigere tali sentimenti su noi stessi”.
L'uomo invece come vive un'esperienza del genere? Come approcciarsi al suo dolore?
“Per i papà che perdono un figlio è notevolmente diversa la situazione perché ad esso viene richiesto in quei momenti drammatici di essere la figura forte della coppia e quindi viene richiesto di accantonare il suo dolore. Paradossalmente questa richiesta inconsapevole che gli viene fatta, che in qualche modo è legata ad un contesto culturale in cui l’uomo non deve piangere o non deve farsi vedere debole, non è per nulla funzionale. Gli effetti che vengono provocati sulla moglie sono legati a sentimenti di incomprensione. Molto spesso le mamme che incontro mi dicono che non riescono a condividere e a parlare del dolore per la perdita del loro bimbo con il proprio marito perché quest’ultimo si è dimostrato freddo e distaccato. Quindi, di fatto, ciò che dovrebbe essere un sostegno da parte del marito, che si mostra forte in quella situazione, spesso si trasforma in una sorta di chiusura e incomunicabilità che a volte crea un distacco e un allontanamento anche nella coppia. Ritengo che in situazioni di aborto spontaneo anche i papà dovrebbero darsi il permesso di piangere e condividere con le loro compagne quel dolore perché fondamentalmente l’unica cosa che può essere fatta in situazioni del genere è attraversare e condividere quel dolore per poi lentamente risalire e trovare un senso a ciò che senso non ha”.
La psicoterapia come può essere d’aiuto?
“La perdita di una persona cara, o comunque di tutti quegli eventi che in qualche modo sentiamo che ci tolgono qualcosa, ci tocca in profondità e ognuno di noi vive tale esperienza provando e mostrando sentimenti e atteggiamenti diversi proprio perché il lutto è unico, così come unica è ogni persona. Il senso di vuoto e la profonda sofferenza sono spesso invalidanti ed è fondamentale far sì che il processo di elaborazione non sia vissuto come una strada senza via d’uscita e che la persona che soffre per la perdita nutra la speranza di trovare una nuova strada per vivere il passato, il presente e il futuro. Nella nostra società, chi è in lutto rimane spesso isolato in un dolore che non trova ascolto, che non osa esprimersi: quindi senza possibilità di condividerlo ed elaborarlo. Chiedere aiuto senza il timore di essere respinti o giudicati può favorire ad uscire dalla solitudine e dal silenzio, e può incrementale la ricerca di una risposta vitale alla perdita di senso e di orientamento che una morte, o una perdita in senso più ampio, lascia. È importante sottolineare che, quando parliamo di lutto, non dobbiamo solo far riferimento alla perdita di una persona cara, ma anche alla perdita delle nostre aspettative, dei nostri desideri, dell’idea che noi abbiamo di come vivere la nostra vita, e quanto, ciò che noi viviamo e percepiamo come un fallimento di essi, possa procurare dolore e smarrimento. Ritengo che può esserci un modo diverso di vedere e di vivere una perdita, un lutto e la psicoterapia può aiutare le mamme e i papà a cambiare punto di vista permettendo un fondamentale passaggio da una posizione in cui ci si sente con le spalle al muro e si pensa di non aver possibilità di scelta ad una posizione in cui quel vissuto diventa più gestibile e più digeribile. Naturalmente sottolineo che il dolore per la perdita di un figlio, a qualsiasi età gestazionale, non si esaurirà mai, ma sicuramente dando senso all’accaduto si può imparare a convivere e gestire quel dolore all’inizio invalidante. Darsi il tempo per far ciò permette anche di creare uno spazio mentale in cui vivere il dolore creando quelli che in letteratura vengono definiti i “luoghi del lutto” che spesso in una situazione di aborto spontaneo non riesce a presentificarsi al cimitero, ma solo nel cuore di mamma e papà”.
Anche in questo caso c'è una vera e propria elaborazione del lutto?
“Sì, anche l’aborto spontaneo attiva un processo di elaborazione del lutto. Quando si vive un aborto spontaneo si perdono sia un bimbo reale, che non abbiamo mai tenuto tra le braccia ma che la mamma ha vissuto fisicamente all’interno del suo ventre, sia di un bimbo immaginato, ossia quel bimbo che la mamma e il papà hanno pensato fin dal primo giorno di gravidanza. Ogni bimbo e ogni figlio è unico e per questo motivo diventa necessario e fondamentale “fare il lutto”. Ciò che complessifica il processo di elaborazione è, molto spesso, l’assenza fisica, “le braccia vuote”. In molti ospedali, infatti, ancora non viene dato il tempo di conoscere quel figlio che è stato perso e medici, ostetrici ed infermieri molto spesso pensano che portandolo via immediatamente aiutino i genitori. Non è così! Fortunatamente la situazione, seppur con molte resistenze, sta lentamente cambiando, ad esempio all’ospedale Buccheri la Ferla di Palermo è stata attivata un’unità operativa specialistica diretta dalla dottoressa Maria Rosa D’Anna, dotata di un team multidisciplinare, di cui personalmente faccio parte, il cui scopo è quello di accogliere, sostenere e accompagnare le coppie e le famiglie che si trovano a dover udire l’infausta notizia.
Quando parliamo di lutto due concetti che immediatamente si attivano sono i tempi e i luoghi del lutto. I tempi sono legati a quei momenti immediatamente prima e immediatamente dopo l’accaduto che apre una finestra in cui i genitori si sentono all’interno di un film, come se in quel momento vivessero la vita di qualcun’altro; inoltre per “tempo del lutto” si intende anche quello spazio temporale in cui la coppia e chi sta intorno vive il processo di comprensione della perdita, di elaborazione e di accettazione che sono naturalmente soggettivi. Ricordiamoci che, come ci dice un grande professionista e collega psicologo e psicoterapeuta, Enrico Cazzaniga, bisogna dare “la possibilità ai genitori di vedere il bambino, fotografarlo mentalmente, di toccarlo, di averlo per un tempo breve, ma importante”. Ciò è fondamentale perché è proprio questo che permette a quei genitori di avere lo spazio di vivere il figlio che hanno perso, viversi il dolore e le emozioni legate a quel figlio ed elaborarle lentamente fino ad arrivare al momento in cui “concedersi il tempo di desiderare un altro figlio senza sentirsi in colpa. Noi di “Georgia” diciamo sempre che per trovare senso a ciò che senso non ha, come la perdita di un figlio, bisogna “passare attraverso” la perdita, concedersi il tempo di viverlo per poter poi guardare al futuro con nuovi occhi e nuove consapevolezze”.
È possibile lasciarsi il passato alle spalle e guardare avanti provando a cercare una nuova gravidanza?
“Subire una perdita in gravidanza o subito dopo il parto è un’esperienza traumatica. Non si è mai preparati e la quotidianità acquisisce un valore diverso sia per le mamme e i papà sia per tutto il sistema familiare che li circonda. Non possiamo dire di “lasciare il passato alla spalle”, ma sicuramente possiamo imparare a convivere e a gestire quel dolore rendendolo una risorsa, un punto di forza. Va sottolineato che vivere dopo il lutto non significa dimenticare di aver perso un figlio, né di nasconderlo a sé o agli altri. Ciò che può aiutare e rendere il percorso meno difficoltoso è la consapevolezza di non essere da soli. Proprio ultimamente mi sono sentita dire che in Sicilia non esistono realtà o strutture che aiutino i genitori a sentirsi meno soli. La notizia non è corretta. Oltre a noi di “Georgia” a Palermo esistono altre associazioni nella nostra regione che si occupano proprio di queste situazioni; alcuni esempi sono l’associazione “Una goccia nell’oceano” a Torretta e a Catania troviamo una sezione distaccata di “Ciao Lapo” (Associazione guidata da Claudia Ravaldi, psichiatra e psicoterapeuta) che, seppur intervenendo in modi diversi perché diverso è il punto di vista da cui partono, sono tutte validissime e importantissime risorse”.